venerdì 26 luglio 2013

Il gusto della polvere




La sera calava lenta tra le colline, mandando luci forti e distinte tra gli scuri accostati.
Censo mangiava piano, con la grazia di chi sa che quello potrebbe essere l’ultimo pasto, assaporando la Tuma che madre aveva messo sott’olio l’anno passato.
Sarebbe servita per un’occasione buona, magari per la fine della guerra.
Versando un goccio di vinetto nel bicchiere Censo pensò a quando era più giovane, alle feste sull’aia, a quando bastava una bella ragazza per essere felici e dimentichi delle fatiche del campo.
Per un anno era rimasto lì, senza che nessuno lo cercasse.
La casa era discosta dalla strada e c’erano olmi e albere a coprirla da sguardi indiscreti.
Solo una volta passarono tedeschi ma erano già sbronzi e con la voglia di ridere di chi non ha più testa di sparare, ma proprio solo fermarsi e non pensare.
Gli andò bene.
Madre versò loro ancora del Vermouth e quelli bevvero da non capire più chi fossero.
Uccisa la gallina, preparò loro della carne e quelli se ne andarono felici , gridando  e mettendo voci nella notte.
Poi venne questa guerra da non sapere più chi ti è amico e chi no, e c’era da guardarsi le spalle da tutto e da tutti.
Un terrore terribile dilagava tra i borghi e si diceva ora di questo ora di quello spia oppure partigiano.
Lui, niente era.
Aveva la sua terra e non voleva saperne, ma pur non volendolo era come tutti coinvolto e doveva pagare la sua bontà e il suo non credere .
Fu Ricu della Grama ad avvisarlo:
Dai da bere a partigiani e repubblichini, presto uno dei due ti scorcia la pelle, stai a vedere.”
Chi lo dice?”
“Qualcuno, più in alto.Fai caso a dove cammini, una volta o l’altra dalle
siepi qui esce piombo e non hai tempo a accorgertene che sei già tirato.”

Ricu era bravo giovane, e pur poco coinvolto, era  amico dichiarato dei partigiani.
Vedeva di malocchio quel disinteressarsi così ingenuo di Censo, quella poca passione per l’Italia e soprattutto l’indifferenza che manifestava per i bastardi fascisti e nazisti.
Tipo strano, Censo.
A venticinque anni non si era ancora sposato, ma solo andava nelle cascine a spiluccare le figlie dei contadini oppure  a prendere il tempo che i mariti lasciavano per andare a fare la terra invece che le loro donne.
E tanti ne aveva contro, alto così.
Dopo l’8 settembre aveva sempre dormito nel pagliaio sotto una impalcatura speciale  che gli aveva costruito Padre.
Vai a sapere.
Qualche partigiano, ma anche qualche marito geloso che ora aveva meno paura di ammazzare,avendo  quasi tutti un fucile e un coltello ed avendo fatto l'abitudine a vedere morta la gente sgozzata come conigli
E dopo l’inverno gelido passato sotto la paglia e le assi, con la paura di tutto, tedeschi, spie, partigiani e la morte per congelamento, dopo tutto questo, quando pareva che ormai  le peggiori cose fossero successe, se la sentì addosso.
 La primavera gli portava  la morte  vicino,  aveva la voce ora di un uccello ora di un frusciare dietro le siepi.
la morte erano gli spari della valle, le imboscate a cento metri, un'occhiata brutta di qualcuno che passava per strada.
Quelle parole degli amici, gli sguardi dei genitori che scendevano al paese e sentivano notizie terrificanti di rastrellamenti e morti fucilati, lo stavano consumando.
Doveva andarsene.
Sarebbe partito in bicicletta, l’amata bici comprata con un anno di fatica a fare il paglierino durante la battitura del grano.
La mia Bianchina, bella, grigia chiara e scura, da fare invidia a tutto il mondo” pensava sempre mentre passava le strade d’Alba nei giorni di mercato.
Bella era bella.
Con quel che costava, poi.
Sarebbe partito in bici, direzione Torino o Milano, dove gente ce n’era e uno come lui sarebbe passato inosservato.
Fu proprio Cecco la sera prima a fargli cambiare idea.
Cercano uno su una bici a due colori.Sei tu, sei solo tu che hai una roba
così su questi colli.Buttala via, scappa, o mette male anche per i tuoi
.”
Dovette demolire mezzo pollaio per prendere i mattoni.
La murava, piuttosto, si disse, con padre che lo guardava con due occhi così e la madre a piangere come a dire ma dove arriveremo.
Aspettò il buio, e mentre la portava in solaio le parlava, le parlava proprio come si fa ad un amico o a una donna che ami ma non sai se rivedrai ancora.
Le gonfiò per bene le gomme, la pulì dalla polvere con uno straccio e con la lacrima di chi non ne può più, cominciò a darci di cazzuola .
Due ore gli ci vollero e poi terra sul muro e vanghe e zappe rotte, che non si vedesse che era cosa fresca.
Non erano passate le 5 che col tascapane  e il cuore in gola scollinava verso il Belbo.
Sarebbe andato a Milano, passava un treno da Asti alle 9 e se tutto andava bene quel pomeriggio tardi si sarebbe lasciato dietro molte grane.
Passeggiava nella polvere e nell’odore di zolfo e terra che veniva su dalle vigne, sudando e pensando di fare in fretta.
Nella sua mente tornavano sempre le parole di Cecco, di fare svelto e non cincischiare.
Pure, partire era per lui un morire dolce.
Pur infischiandosene altamente di guerra e politiche, amava con tutto il cuore quella terra alta e bassa, gonfia come una mammella, vistosa come una bella donna all’osteria.
Quella polvere che ti mangia i polmoni, le gomme della bici, che si impregna nel sudore sino  sera.
Mentre tutto questo gli frullava ben bene in mente, era arrivato in vista della stazione .
Conosceva il bigliettaio, un posto magari in un merci sarebbe stato cosa Dio fece.
Già intravedeva le albere in basso e camminava più lesto quando da dietro una voce lo gelò:
Guardalo qui.”
Si stupì delle sue gambe che, pure tremule, gli davano impalcatura e vigore.
Tu.Vigliacco bastardo ruffiano.Tu e la tua banda di briganti ladri assassini.Vigliacco.”
Non fece in tempo a scappare, né volle farlo.
Solo quel gusto amaro di sangue in bocca e la vita che gli scorreva davanti come un film, proprio lenta e veloce come le sequenza rovinate d’un film  ma capite tutto e sentite che la fine è quella.
Solo ridere gli riuscì, avrebbe anche sputato ma la bocca era secca e piena di polvere.
Non pensò ai suoi, alla bici e alle giornate in collina.
Non pensò nemmeno alle donne, anche se avrebbe voluto.
A nulla pensò, mentre a calci lo sbattevano contro il muro tra bestemmie e urla e diocristo di fare alla svelta.
Per ultimo guardò il sole, la collina in alto, il verde delle gaggie sopra di lui, e poi, ancora una volta, bene stavolta, quel gusto di polvere.

domenica 21 luglio 2013

A trovar Pierina: pedalata in collina 8 settembre 2013

Mio nonno se la faceva due volte al giorno con la sua leve rovesce marca Ciclone (chissà se ne troverò mai una).
Qui da Rivalta saliva i 4 km di saliscendi che portano a La Morra e da qui prendeva la strada che in piano sovrasta la collina che porta a San Bartolomeo di Cherasco per trovare la sua bella Pierina che sarebbe poi diventata sua moglie e mia nonna.
Mio nonno non c'è più, ma ci sono ancora le strade, le bici e la voglia di dimostrare che con quelle bici sportive da un paese all'altro si può ancora andare.
O no?
Per la prima volta  ecco il   raduno di biciclette mezza-corsa tra i vigneti in colore delle Langhe.
Quattro chilometri di salitella fattibile anche a pelandroni come me ( l'ho fatta d'un fiato e così la Paola con una mezza corsa ).
Se non avete la mezza corsa venite con cosa volete.
Alla fine del giro avrete negli occhi tutto il bello della langa autunnale e al ritorno, un bel pasto caldo tutti insieme nella mia nuova casa con visita a un sogno in soffitta che sta prendendo forma...
Per ogni infomazione sempre a disposizione a.galeasso@libero.it

Buone vacanze

Andrea

sabato 13 luglio 2013

Murata viva : Bianchi scettro del 1939-40

In questi giorni sto restaurando casa e nel tempo libero che non ho più, nessuno deve disturbarmi, vista la mole di lavoro.
Quest'oggi il telefono trilla, mentre sono al quarto piolo della scala sporco di rosso antico..uno spacciatore, simpatico.
Evabbhe.
"Pronto, cerchi ancora le bici vecchie?"
"Si, ma...ora non posso, per un po' son preso dalla casa..."
"Questa devi venire subito a prenderla o fa una brutta fine..stavamo buttando giù una casa e questa era dentro un muro"
"Dentro?Ma va, dietro..
"No sta roba qua l'avran murata in tempo di guerra..è vecchia forte ha anche il fanale giallo..."
"Un'oretta e son da te"

La morosa mi guarda male come non mai, ma ho l'adrenalina a mille.
Tiro la 500 all'inverosimile , non mi importa la Marca, sapendola in una cascina in alta Langa immagino qualcosa di economico, ma va bene, è l'idea di mettere mano a qualcosa che nessuno tocca da forse 70 anni.
Roba che le ultime persone che ha visto son gente che si sparava.
Arrivato, la vedo appoggiata al cassone del ferro, tra mattoni e assi di legno.
Cazzo, Bianchi.
Cazzo, bicolor.

Cazzo, la sella giusta.

Cazzo i copertoni marcati Pirelli-Bianchi.

"Che roba eh?Era tra un muro e l'altro. Magari chi l'ha messa lì è morto..almeno la metti a posto, lunedì il padrone buttava via tutto.Fatto bene a chiamarti?"
Lo bacerei.
Caricata con cura, sono a casa in meno di mezz'ora.
Assaggio i dettagli: impianto luce completo Regina, il cavo in sterlingato si è sbriciolato.
La ruggine è ovunque, la catena si muove di poco.
Il campanello tintinna felice, senza bisogno di oliare.
Curioso il carter: chissà se è uscita cosi o l'han tagliato?

Di certo è una modifica ben vecchia :)
Curiosi copertoni dalla misura 28X1 X 5/8 X1 /2
Pedali a trombetta Bianchi con gommini quasi nuovi!
Questo indica, oltre ai copertoni, quanto poco fu sfruttata questa bici.

Chissà se la catena e la ruota libera saranno ancora della Bianchi?
L'impianto luci è un autarchico Regina con tanto di vetro giallo come imposto dalle leggi sull'oscuramento:

Me la vedo già in una mostra dell'AVP, con tutta la sua polvere e la sua dignità di sopravvissuta alla guerra e alla barbarie del dopoguerra.
Sogno, sono felice e son felice di condividere con voi questa piccola grande scoperta.