sabato 20 dicembre 2014

aZZurrina, Bianchi Z 1930

"....a giocare col nero, perdi sempre.."

F. De Andrè, "Le storie di ieri"




Nel castello di Montebello pare esista il fantasma di una bambina dal nome Azzurrina.
Anche i più scettici affermano d averne udito la flebile voce.
Tornando a più umane faccende, voglio narrarvi invece la storia di un'altra azzurrina, fatta però di ferro e gomma e non di ectoplasmico etere.
Fu dopo una cena allegra ed un poco alcolica che l'amico mi disse di avere nel cofano i resti di una Touring balloncina.
"Mi servono i parafanghi!" dissi.
"Prendo il fanale ed è tua, se la vuoi...."
Aperto il cofano la povera era riversa col parafango posteriore barbaramente piegato .
Pistoncini piccoli zigrinati.
Carter stranissimo.

I parafanghi , era notte e quel goccio di alcool non aiutava, parevano quelli di una Sabina, ma poco più larghi.
"Con due martellatine-mi dissi- li adatto alla mia Z!"
Detto fatto, scaricammo il rottame sempre a gambe all'aria e ci avviammo al meritato sonno.
Quella notte non dormii.
Quel carter.
Quel disco cromato.
Che fosse poi lei?

Le prime luci dell'alba mi videro girare il cadavere nelle nebbioline langhette per scoprire qualcosa che in cuor mio già sapevo.
Patacchino Bianchi smaltato aquila ( che Dio sia sempre più Lodato!)
Pedivelle Bianchi corsivo.
Carter stranissimo, mai visto: e te credo! è di una Zeta!
Fulmineo pulisco l'ancor nichelato movimento centrale: 1930!
Mozzo anteriore giusto, il posteriore....ho dovuto aggiungerlo io prelevandolo dal rudere della mia storicissima zeta in perenne attesa dei parafanghi e di un carter.

Ubi maior minor cessat!

A questo punto nasceva un dilemma: riverniciare o conservare?
Sotto l'azzurrino, dato verosimilmente subito dopo la guerra, le nichelature al carter ed ai parafanghi comparivano: flebili, ma esistevano ancora.
Più sotto, solo il rosso dell'antiruggine.


Me la sono immaginata con i due copertoni bianchi a ballonetto che tenevo da parte da anni per la sorella Z incompleta.
Perché no, mi dissi.
Perché si, pensai.
Detto fatto.
Una smontata, una lucidata, una drizzata al povero parafango posteriore.
Il portapacchi con corda in canapa era già su, perché levarlo?

Anche la gemma Autarchia è un segno dei tempi.
Studiando il carter capisco perché così poco successo abbia riscosso: debole, fragile, scollato come quelli Dei.
Al confronto quelli delle Real sembrano fatti di acciaio inox!
Sostituito il cerchio posteriore, raggiato su mozzo Bianchi datato 1931 , e montato un bell'impianto luce  Radsonne coevo, decido per una sella in cuoio come da catalogo.
I pedali andrebbero a trombetta, tipici delle Bianchi lusso del periodo ma, ahimè, l'orto soltanto uno ne offre e non credo che seminandolo crescerebbe a primavera fruttificandone altri.
Pace.
Supplisco alla mancanza della parte terminale del parafango anteriore con un bel paraspruzzo in crine di cavallo:

Monto due generici pedali a 6 gomme anni 30 e attendo che qualche trombetta capiti sul mio sentiero!


Proviamola!


Alla guida la comodità è stupefacente.
Il manubrio bianchi anni 30, nichelato. ha una posizione differente dai manubri bianchi dal 1933 in poi.
Più piegato, stretto, quasi sportivo.

Le gomme ballon scorrono leste e dalla guida la forcella a zanna con testa cromata si slancia a mordere la strada.
L'appoggio, la guardo.
Non sarà la Bianchi Zeta più perfetta del mondo, però è lei.
Azzurrina, unica.
Con la gioia gratuita di tutte le cose belle e rare  successe per caso nella vita.

















sabato 22 novembre 2014

Bianchi Sabina 1934, un'anima persa

Sabina giunse anni fa in seguito ad uno scambio.
Era lustra, bella, fin troppo.
Ai miei occhi non saltarono all'occhio i parafanghi e il carter anni 50.
Il resto c'era.
Riverniciato, ma c'era.
Passano gli anni, alcuni cadaveri donano gli organi fondamentali e..voilà.
Un'anima persa si è ritrovata.


Bella come può esserlo una signorina di 80 anni.
Con dettagli gustosi, come il piccolo oliatore marcato Bianchi.


Forse più affascinante di allora ( gli anni donano al viso un'aura che solo i vecchi sanno).
I suoi copertoni ballonetto scorrono come allora su mozzi Bianchi a ingrassatore, scritta corsiva.
I pedali sono sempre i suoi, dei trombetta  Bianchi  che saran meno gustosi del gradevole ortaggio, ma scorrono bene assai ed è un piacere calcarli.

Qualche accessorio, un vezzo gradito.
Il fanalone Bosch spara che è un piacere, e la dinamo, Bosch anche essa, riesce ad accendere voglie anche al fanalino incorporato nel lucchetto retrostante.


Cavalletto Trionfo torino, in zama.

Il manubrio pare fatto ieri e anche il bel patacchino smaltato tipico delle Bianchi lusso di quegli anni, Dio sia Lodato, è al suo posto.


Il carter mi fece tribulare non poco, quel disco a doppio giro di cromo era una favola così bella quanto rara, ma anche lui è voluto esser presente alla rimpatriata.

Una Langa  di mezzo sole, una mezza salita.



.
Una visita  al camposanto poco sopra, un saluto  alle mie origini.
Pare a suo agio nel brecciolino in mezzo alle tombe.
Per decenni l'anima ha vagabondato, spersa.
La luce di questo giorno, la ritrova più bella e più degna, pronta alla sfida del secolo che si avvia.



Semper adamas,  Sabina!



domenica 16 novembre 2014

Derelitta, bianchi S bis 1928


Dicono che di noi, dopo la morte, sopravviva l'anima.

Dagli oggetti, spesso, questa scompare a causa degli anni e dell'incuria dell'uomo.

Ciò accade più che mai per questa Bianchi S bis del 1928, che fu un tempo macchina meravigliosa e desiderabile.

La ruggine ha invaso tutto, probabili anni e anni di pioggia intense..

Il telaio ha preso una bella botta e pure la forcella pare ubriachella nel suo percorso.


l'archetto freno anteriore coi pistoncini piccoli sono stati barbaramente tranciati e hanno lasciato il posto ad un economico e comune archetto, che scorre su leveraggi saldati ad hoc.

Sopravvive un solo pistoncino, piccolo come di uso fino al 1930.



Manubrio del commercio e parafanghi orrendi anni 50.



Del carter manco più l'ombra..resta di buono la guarnitura e il  mozzo anteriore a 36 raggi Bianchi.



Che dire?



Difficile ma non impossibile il recupero di questa reliquia...il telaio danneggiato e l'infinità di parti mancanti rendono arduo il restauro, ma non demordo: più di una volta sul mio cammino altri relitti miracolosamente scampati al tempo hanno donato gli organi vitali per riesumare una sorella...

Al tempo l'ardua sentenza!

mercoledì 5 novembre 2014

Moncherina, la bici dello zoppo








L'amico Gaetano mi chiamò giorni addietro per mostrarmi una bici ben particolare: carter a sinistra!
Incuriosito mi spinsi ad osservare lo strano cimelio e dopo una sommaria occhiata giunsi alla spiegazione: era una bici da zoppo!
Infatti di primo acchito mi saltarono agli occhi le pedivelle sfasate: una sola girava!
L'altra  era fissa e serviva solo da appoggio alla protesi o alla gamba offesa.
Il carter era stato spostato a sinistra direttamente dal ciclista Conte ( la decalca è posizionata per il verso giusto) .
L'unica pedivella va a comandare un pignone fisso montato su un antico mozzo Monviso predisposto per la bisogna ( doppio filetto per avere la possibilità di stringere il pignone con una ghiera).
Il lato destro del movimento centrale, a differenza di altre bici simili montate più...rocambolescamente, ospita una ghiera dedicata e un raro coprichiavella della Paioli ( ditta che poi diverrà famosa per la costruzione di forcelle per moto)
La bici è stata sfruttata pochissimo, prova ne è l'ancor ottima verniciatura e le gomme quasi intonse dopo quasi 60 anni.Ho provato a pedalarla: sorprendentemente la pedalata è fluida e il pignone fisso aiuta l'unica gamba in..movimento a superare la risalita.
Dove invece mi son trovato spiazzato ...è stato in salita, non potendo contare sulla forza di ambo le pedivelle.
Questa bici, al di là della curiosità intrinseca, è un documento storico molto importante, in quanto testimonia la volontà di superare un handicap allora ben più diffuso ( si era a  pochi anni dalla fine della guerra) con i mezzi e gli ingegni che il tempo di allora concedeva: meritatissimo quindi il suo angolino assieme alle altre sorelle esposte!




lunedì 27 ottobre 2014

Amerio La balloncina, la resurrezione

Anni fa avevo portato a casa due ammassi di ruggine e legno.
Stavano per fare una brutta fine e reclamavano attenzione.
Per alcuni anni sono state speranzose in un angolo della boita, vedendo transitare moto e bici sul tavolo operatorio.
Poi, un giorno di fine estate, mi dico che quel legno deve essere recuperato.
Che è un'Amerio, e che fu una delle bici più rappresentative degli anni 30.
Insomma, via col restauro.

E allora si smonta e si spazzola e ...si pensa se riverniciare o...mantenere la sua storia di intemperia.
Una passata di cera, un'occhiata, ed è stato subito amore.
Sui cerchi ho lavorato delle belle sere, improvvisandomi falegname.
In alcuni punti l'umido aveva scollato gli strati: sono intervenuto con ampi inserti di colla vinavil e...attak.

Una centrata ai raggi con garbo, per non squassare tutto, e infine...un impregnante color Noce a rendere uniforme e piacevole il fasciame.
Una bella oliata ai Mozzi Amerio tipo sportivo con fascetta al centro e ...via che si corre!
I pedali sono ancora i suoi, a barra unica Amerio e a 6 gomme bianche.
A completare un tocco di classe con un paratubo NOS in lamierino.
rimane l'attacco pel seggiolino da bimbo, in alluminio: a quando il seggiolino?
Notevole la gemma posteriore in vetro, regolabile tramite un'asolina e due viti in altezza.
Finezze del bel tempo che fu!
Pedalare ora.
Piano, senza fretta e senza buche: i cerchi sembrano tenere in piedi il robusto ferro incerato, ma occhio: basterebbe un nulla a vedere distrutto il bel lavoro!
Notevole il manubrio ancora ricoperto della sua celluloide nera, tipico retaggi degli anni '20 nei quali la Maino fasciava spesso e volentieri le sue creazioni.

Due manopole in osso in due pezzi completano i superstiti manopolini, che comandano freni interni ancora ben scorrevoli.
Un tocco di misticismo ce lo offre la Madonna ancorata al canotto,
 a supplire alle possibili bestemmie dovute ad una salita sulla quale spingere i quasi 20 kg di ferro e legno su copertoni 26 3/4 5/8 X2.
La sella Italia originale reclamava cure: ecco un bel coprisella NOS modello Donna anni 30 per proteggere le terga dal pungere delle molle redivive:

E pazienza se a qualcuno questa apparirà come una bici ancora da restauro.

Io e lei sappiamo il lavoro fatto e sorridendo ci guardiamo: lei nei miei occhi e io nel suo Dansi a cipolla.
Verrà la notte e verranno più sereni riposi:nel mio letto io, sopra di me  nella collezione, lei.




( Venitela a vedere con le sue sorelle , vi aspetta!)







martedì 9 settembre 2014

Prina Corsa 1937: il parto!


Era gennaio quando il buon Max, in seguito ad uno scambio, mi cedeva ciò che restava di una gloriosa bici da corsa anni 30:

Chi mi conosce sa quanto ami la Prina e questa era un raro esemplare anni 30 ancora coi suoi mozzi marcati ( posteriore giroruota) e ....un telaio leggero da far paura!
Inoltre, cosa non disprezzabile, aveva ancora i suoi parafanghi in alluminio a 4 pezzi: cosa volere di più?
Sotto a chi tocca allora!
Prima cosa ho ripulito bene il tutto; sotto la ruggine è ancora spuntata qualche decalca e i resti del suo bel bleu originale, che ho poi ripreso con le corde delle guaine e la tela del manubrio:


Terminata la pulizia ho provveduto ad una piccola saldatura in zona forcellini posteriori: anche dall'altra parte era stata fatta la medesima cosa: Signor Antonio, occhio, i forcellini son deboli!!!
Reparto ruote: i cerchi in ferro non mi soddisfacevano e, per una volta, ho strappato la regola: nel 37 già esistevano i cerchi in alluminio e , volendola usare con soddisfazione, mi son concesso due bei cerchioni per tubolare  extraleggeri, raggiati con raggi ...ruggine per fare pendant col resto!

I parafanghi erano parecchio storti e ..ancora un poco lo sono, perchè anni di pioggia non hanno giovato all'alluminio e toccarli è come martellare la cartavelina: direi che ora sono accettabili ma migliorabili, non avessi il timore di sfasciarli con lo sguardo!

Sul posteriore gemma in vetro come d'obbligo e tracce dell'indispensabile vernice bianca in obbligo dal 36 in avanti!
E siamo in primavera...manca il manubrio!
Questo me lo sono costruito da me, studiando le pieghe sulle foto e sulle bici da me possedute.
Da un  manubrio da bambino in ferro, taglia cuci e piega e bestemmia e invecchia....direi che fa la sua figura !


Notate anche il campanello bronzino e le mollette salvapantalone: erano ancora le sue, trovate attaccate al rottame!

Reparto freni; risponde al nome  Universal FPM, freni in ferro a mensola con leve abbinate, pattini Universal originali ma...un poco secchi!



Bici da corsa, ormai siamo a Giugno; e se ci montassimo un bel cambietto?
Un Vittoria sarebbe l'ideale ed ecco che sulla strada compare il rudere di una Benotto ad offrirci la bella leva tensionatrice con la sua cremagliera!

Mozzo posteriore con ruota libera caimi corsa a 3v con disco salvaraggi in alluminio e pignone fisso dal lato opposto.
I pedali sono Sheffield Sprint a centro intero, con lacci bleu e la sella è la sua sua Brooks B17 di origine, convenientemente ingrassata!

E dopo 9 mesi di parto siamo a settembre e ri -nasce qualcosa che fu, coi segni del tempo si capisce, ma funzionale e piacevole agli occhi dell'appassionato:incredibilmente leggera per una ultra settantenne.

In lei ho profuso tutto l'amore che provo per il marchio astigiano: spero ricambi con un bel servizio quando la porterò su strada alla prima occasione!

lunedì 18 agosto 2014

Cicli Chiesa anni 40: la bici, l'uomo.

"Quando attraverserà
l'ultimo vecchio ponte
ai suicidi dirà
baciandoli alla fronte
venite in paradiso
là dove vado anche io
perchè non c'è l'inferno
nel mondo del buon dio"
(F.de Andrè)

La bici.

Negli anni '40 a Bra, se volevi una bici potevi andare da "Gesot" e fartene fare una su misura senza spendere un'esagerazione.
Questa è una.
Il telaio è di una vecchia balloncina da 26 con serie sterzo tipo gloria e cerchi ballon da 26.
Il mozzo posteriore è un contropedale Torpedo, ancora molto efficace.

Il manubrio è un Ambrosio in ferro , piega Torino, con leva e freno bowden anteriore per una frenata più rapida e sicura.

Guarnitura anonima con disegno tipo gloria e pedali a 6 gommini con catarifrangente aggiunto.

Mozzo anteriore DEA con oliatore a elmo , anni 20.

Notare su entrambi i mozzi le corde in vero cuoio braidese dell'epoca.
Impianto luce Tegif e sebac Astor II al posteriore.

Questa la bici.
Vediamo ora:

L'uomo.

Era un capostazione di Bra, uomo alto e forte.
Si era fatto fare la bici da Gesot su sua specifica.
Voleva un bel contropedale , per frenare anche con la giacca in mano .
Ci teneva e come tutti i Braidesi era giusto nei soldi.
Cosi giusto da non cambiare il supporto della dinamo rotto, ma di farselo saldare alla bisogna da uno dei mille fabbri di Bra.

Abitava in una casa sulla collina con annesso ciabot e crutin, vanto di tutti i Braidesi .
"Bra?ah quel paese che tutti hanno la vigna" diceva il re Vittorio emanuele III.
Bel lavoro, bella famiglia, bella bici dico io.
Ma qualcosa non quadrava.
Sempre quella tristezza alla sera, e poi al mattino e poi tutto il giorno e sempre.
La mancanza di qualcosa.
Il troppo di tutto.
Impossibile sorridere, troppo facile piangere.
E allora quelle gite in bici  e i treni e i figli e la moglie e la vita sono di troppo, e bisogna farla finita e senza fare troppo strepito.
Ma non si può.
Allora pazienza.
Qualcuno mi troverà e capirà che ero io, e che non potevo più, e che quella corda la guardavo già da tempo.
E scusatemi se avrete un brutto quarto d'ora vedendomi appeso e vi passerà l'appetito per giorni.
La vita è una bella cosa dicono, ma ci va del coraggio per andare avanti, e, infine, ancor più per lasciare tutto, in quei cinque minuti senza ossigeno che il gesto richiede.


( In ricordo del primo e unico proprietario di questa cicli Chiesa -Bra).