lunedì 31 marzo 2014

Carlo Delfino ( Porto Maurizio) 1935 corsa


Un oggetto va sempre pensato, sognato, desiderato.

Le parole e le forme suggeriscono idee che si andranno a concretizzare nell’evento che verrà.

Così io sognai una notte questa bicicletta in mezzo agli ulivi, la sognai libera in un periodo non libero.

La sognai verde come non era e aggressiva come ancora sa essere.

Quando poche parole , al telefono, vi lasciano increduli e  danno la stura al sogno, ecco che si attende con trepidazione ciò che poi sarà bramosia e adrenalina.

L’appuntamento è alla marina, ma lei si trova ben più su, 18 chilometri di curve tra gli ulivi e le ginestre.

è rimasta appesa per anni, finchè prima di morire il vecchietto me l’ha consegnata


Non sappiamo il nome del primo proprietario, ma io l’ho chiamato Tugnasin.

Fa parte del sogno.

Tra i muretti di pietra che guidare mette i sudori, abbandoniamo l’automobile per inerpicarci tra i carrugi e qui infilarci tosto in un garage alla luce.

Ma la bici dov’è?”

“Di sopra, qui si allaga spesso e potevano marcire i cerchioni

“Ed ecco che dopo una scalinata fatta a due balzi alla volta, la vedo coperta dalla polvere e dalle ragnatele, appoggiata ad un tavolo di ulivo .

Il cuore rimbalza, non capita spesso di imbattersi in nobile ruggine corsaiola direttamente dagli anni 30.

Lo stemma in ottone sul canotto mi dice "Cicli Carlo Delfino, Porto Maurizio" ( Imperia) : mai sentito, il nome è localissimo.


I cerchioni in legno hanno tenuto benissimo, solo i tubolari risentono gli anni dell’abbandono.

I mozzi parlano alluminio davanti e ferro giroruota al posteriore, ma non me ne stupisco: più di un’artigianale ho reperito con mozzi spaiati e se ciò può essere dovuto ad una riparazione non mi stupirei fosse nata così: allora in una bottega artigiana si badava al sodo e… cosa c’era c’era!
Oppure quel giovanotto era un corridore e ...senza badare al sottile aggiornò e cambiò per non rimanere appiedato!
Chissà!

Il bel manubrio ha la pipa in ferro e una piega di alluminio che mette voglie in petto al più consumato collezionista.

Freni Bowden con una molla che mai vidi, ancora efficaci nonostante l'oblio..

La data ce la fornisce il bollo ben ancorato al parafanghino in alluminio anteriore, 1935, accanto ad una medaglietta in bronzo anche essa rivettata al puntale con il volto di Gesù.
Questi sono i dettagli che mi fanno amare le biciclette datate!


Il pezzo forte è sicuramente il cambio Vittoria prima serie, ancora al suo posto dopo quasi 80 anni, unitamente al bell’oliatore per catena che immediatamente lo sovrasta.


Sella marcata APA Prina Asti, mi perseguita piacevolmente questo marchio : devo dire che il telaio sembra proprio un Prina, ma altri indizi alessandrini non ne trovo: chissà!

Su una pedivella scorgo il marchio BSA, la destra, l’altra è di una bici francese col suo pedale un poco più recente.

Tugnasìn la deve avere usata parecchio, almeno 20 anni direi, prima di metterla a riposo, e quando c’era da sostituire …si sostituiva, come dargli torto?

Quelle salite sono terribili e dovevano essere un bell’ostacolo a gambe, polpacci e….mezzi meccanici!

La gemma catarifrangente ancorata al freno posteriore dice anni 40, così come le guaine freno.


Poi chissà: una moglie, una Vespa, i figli, la stanchezza, la voglia di comodità.

Ma non l’oblio dei begl’anni , tanto da non decidere di abbandonare la bicicletta ( triste destino di molte sue coetanee) bensì di custodirla appesa in un garage tra i carrugi che sanno di olio e di pietra, che tanto bene l’hanno conservata, nera a fiamme rosse come apparve in quel di Imperia tanti anni fa a quel giovanotto.

Il sogno  svanisce e stavolta lascia per le mani ferro, legno e gomma.

Al lavoro, dunque!

Il nuovo proprietario non avrà forse i muscoli del Tugnasin, ma qualche pedalata, su tubolari nuovi, quella si, se la vorrà concedere.

E pace se stavolta saran noccioli ed albere, in vece degli ulivi.

venerdì 7 marzo 2014

Vecchia signora: Wolsit modello 55, 1926




Vecchia signora, appoggiata con noncuranza ad una piglia dietro a cianfrusaglie d’ogni sorta, sotto lo sguardo di ignari passanti che ignorano ciò che sei, chi ti fece , cosa resta di te?

Sfanalata e decarterata pari l’ombra d’un passato che fu gaio e ricco di avventura ( la vernice è logora  e frusta e la catena ha ben girato sulle corone).



La sella è un mio dono, per dirti Buongiorno e augurarti nuova vita e nuove strade, silenziosa su quei bei Pirelli Stella da 3/8 che molto ti s’addicono.



Eppure chi ti ebbe molto ti amò, preservando addirittura i pattini dei freni e quelle alette ai parafanghi che tanto t’aggraziano.

I pedali paiono tuoi da sempre, marchiati Wolsit su quasi tutti i gommini ( o tempora, o mores, quando tutto si riparava e il costo era un ostacolo).


Cerchi stretti, R, così stretti da fare dire a me, vecchio malato di ruggine, al cinico venditore ch’erano sostituiti, che erano troppo stretti.


Ma quei mozzi.


32- 40, una combinazione che strugge l’appassionato e che deve essere sfuggita ai vecchi lupi della mattinata.

Destino forse.

Chissà, saresti finita sbranata dalle tenaglie del facile guadagno e forse quei mozzi avrebbero equipaggiato nobile e corsaiola rumenteria.


Ancora lì , sono.

Ben oliati, lucidati, incerati quel che basta per farti vezzo colle compagne di mostra museale, che, beffarde nei loro carter non oseran che dirti: benvenuta, vecchia signora.

sabato 1 marzo 2014

Maino catenelle


L’amico e grande appassionato Giambattista da Ventimiglia ci stupisce di nuovo con un’altra magnifica bicicletta entrata nella sua collezione, una Maino Supersport con frenaggio a trasmissione rigida interna e archetti comandati da catenelle prodotta nella seconda metà degli anni 40.

Erano quelli gli ultimi anni nei quali le  grandi Case facevano a gara per stupire la ( ricca) clientela e si ingegnavano a chi nascondeva meglio la tiranteria oppure la studiava più meccanicamente interessante o complessa.

Pensiamo alle celebri Bianchi Impero, oppure alle Gloria con frenaggi a tenaglia, passando per le Olympia anche esse con tiranti bacchetta-tenaglia.


La Maino, dopo anni di produzione delle sue ben note Supersport e Superlusso a freni a bacchetta interni, decise nel dopoguerra di stupire con questo sistema a cantilever comandato da catenelle, un sistema che ritroveremo molti anni dopo sulle mountain bike, comandato però stavolta da un comune  filo d'acciaio .


Ottima la conservazione del color bronzo , che esalta l’eleganza e la sportività del mezzo.

Sul manubrio è fissato il classico patacchino Maino con la dicitura del modello , mentre le leve freno sono impreziosite dall’inserto in ottone marcato Maino.

Completa la bicicletta l'elegante campanello firmato Maino.
.

Un capolavoro di eleganza e di stile difficilmente imitabile che ancora una volta dimostra la bravura dei Piemontesi nell’arte della bicicletta!