mercoledì 16 dicembre 2015

Amerio 1925, analisi epistemologica di un ritrovamento.




Quando vidi su un noto sito di vendite i resti di questa povera creatura, ammetto che non fui esaltato.
Poche foto, sbiadite, offrivano però al mio occhio ammalato di "Amerite" acuta, dettagli non trascurabili e di certo, a me, inediti.
Tralasciando le peripezie che la portarono alla mia officina ( ancora un sentito grazie all'appassionato Lorenzo, persona davvero distinta ed idealista in un mondo fatto d'avidi), la presento ora cogliendo i dettagli che ci fanno scoprire la fabbrica Amerio degli anni 20.
Il colpo d'occhio generale ci offre un bel biciclone da 26 3/8 tipico di metà anni 20, con geometrie alte ma fruibili  dalla maggior parte della popolazione muliebre del tempo ( tutt'altro che alta).



Il telaio è di foggia alessandrina, con tubo ricurvo dalla tipica curvatura e diapason sottosella inconfondibile Amerio, dal tipicissimo doppio dado di serraggio.
Calotte di sterzo non integrate ma smontabili, tipo Durkopp ( ma italianissime).



Il manubrio presenta un'impipatura tipica del periodo, che troviamo anche sulle Gerbi ad esempio.
Un tempo questo era completamente ricoperto di solida cellulosa nera( ne resta traccia sulla parte destra), atta a proteggere e custodire il nobile ferro sottostante.
Patacchino Cicli Amerio Felizzano.


Inedito su di un'Amerio il sistema frenante, a leve interne nel manubrio e con rinvii saldati alla forcella ed al carro posteriore ( vero lusso per il 1925).
Il freno anteriore è comandato da un'asta che si infulcra direttamente con un bullone al leveraggio, scorre su di una guida saldata al piantone e aziona i pattini anteriori.


Quello posteriore presenta un leveraggio inedito in zona movimento centrale, addirittura con due fulcri saldati direttamente al telaio ( in modo grezzo ma efficace) che consentono la massima robustezza e  scorrevolezza.
Manopole in osso in due pezzi e manopolini in osso ( assenti) completano la zona manubrio- freni.
Pedivelle marcate Amerio in stampato maiuscolo che ruotano su movimento centrale datato 1925 dotato di sfere di grande dimensione.( in pieno stile Maino-Dei)


Pedali da donna DIP originali, talmente piccoli che sembrano quelli di una bici da bimbo: son lontani i tempi nei quali  le donne portavano il 35 di scarpa!



Passiamo alle ruote.
Alte, da 26 3/8, sono raggiate su mozzi SIAMT -Torino  datati 1925 sulle calotte registrabili e marcati Amerio in corsivo.



I generosi copertoni Michelin ECO dell'epoca consentono di godere delle sensazioni della prima proprietaria, lasciando una traccia particolarissima col loro battistrada sulle ormai rare strade bianche.


Un occhiata golosa al carter ora: robusto, infulcrato al movimento centrale tramite 3 dadi e bulloni che si imperniano al telaio su attacchi saldai ad hoc: estraibile quindi con la massima facilità senza svitare la ghiera del movimento centrale.


Esso si rifà ai modelli Maino dell'epoca, con sportellino di ispezione anteriore ( mancante) e codino estraibile posteriore tipo Dei.
Interessante la presenza di un foro , forse posticcio, che serviva ad oliare la catena senza smontare ( e sporcare) alcunché.
Una nota sulla forcella, sulla falsariga dei modelli Maino ma già con le caratteristiche, sia pure molto larvate, che caratterizzano la produzione Amerio: parafango infulcrato direttamente al foro in fusione e rinforzi laterali ( molto molto leggeri).


I parafanghi sono del tutto identici ai modelli Maino anni 20, con costa larga centrale .


Tipici gli attacchi delle aste parafango  alla ruota posteriore , molto eleganti, montati anche da Maino.
Semplice ed efficace la tiranteria della ruota, con rondella centrale che funge da stop al tiraggio bullone -vite.



La sella, aggiunta da me, è una classica Regina a tripla molla anni 20: efficace e comoda, acchè niuna novella amazzone abbia a dolersi alle pudenda dopo una piacevole cavalcata....
CONCLUDENDO...
Questa analisi vuole essere d'aiuto alla ricostruzione della storia di un marchio da troppi dimenticato ( persino un grande collezionista nei giorni passati mi disse di non conoscere il Marchio...molto male!!) e soprattutto è utile per verificare le modalità operative e le finiture di una fabbrica ancora in espansione.
Interessante notare come nel 1925, dopo 18 anni dalla fondazione , sicuramente inseguito a un reset numerico, si fosse a quota 4000 bici, ed ancora nel 1930 circa si fosse a 10000.
Mille bici all'anno, circa 3 al giorno!( in pratica una produzione artigianale!)
Numerosità che aumenterà esponenzialmente a metà anni 30 quando dal 1932 33 si passerà al 1937 con una produzione in 5 anni circa  di oltre 15000 pezzi!
Sperando di aver fatto cosa gradita ai sostenitori della bici  Amerio, auspichiamo nuovi e probanti ritrovamenti per ricostruire al meglio la storia di una grande fabbrica piemontese che merita sicuramente l'attenzione di tutti gli appassionati di Storia della bicicletta.
Ad majora!









sabato 5 dicembre 2015

Pedalare e sudare, Wolsit corsa 1923

"Aspetta chi è aspettato
che sia compiuta l'attesa di chi attende
un suono strutturato
in modo di poter reggere
per molto tempo
ancora..
"CSI, Alba Blu"




"Una bici vecchia, di quelle da corsa, dell'epoca di Coppi..."
Questa era la frase che accompagnava l'offerta di visionare una vecchia bici in un casolare tra i monti.
Quando ti dicono la bici di Coppi, è quasi sempre una Sprint del '73.
Sgonfia e rugginosa.
Quando ti dicono la bici di Bartali, quasi sempre un condorino.
Sgonfio e col telaio rotto.
Stavolta no.
Voglio crederci.
E mi inerpico per la stradaccia tra il bosco di querce e castagni, in una terra dalla lingua delle mie origini più antiche.
Il dialetto è strettissimo, rade parole scandite da sguardi lontani mille miglia verso l'infinito o solamente dirette ad un sasso che ci incespicherà il cammino.
Dell'antico seccatoio poco resta, se non un cumulo di sassi sparsi e un tetto che la prossima neve decimerà a rudere.
"Ma è poi sicuro?"
" Ci sono nato qui dentro, se non ti fidi la butto giù io..."
"Per carità..."
La volta sta per crollare.
Dovunque paglia e sterpaglie.
Da una scala in legno che regge a malapena i miei ossuti cinquantacinque chili mi inerpico al piano alto e in fondo, la vedo.

Questi sono i momenti che non ti scordi!
Il manubrio in ferro , ussaro e fedele, mi saluta dal fioco della finestretta che le ha dato aria polvere e ruggine per tanti anni.
Le gomme si sono essiccate del tutto, si sgretolano  al solo sguardo.
Sotto la morchia un nero inusuale chiede attenzioni che sa già dovute: l'attesa è compiuta!
Insomma, con cura e devozione la sposto al piano basso.
" Ma tze mat? Campla Zù!"


-TRADUZIONE:  Ma sei matto?Buttala giù-


L'arzillo vecchiardo guarda con sommo disprezzo quel cumulo di nobilissima ferraglia che scopro essere stata del suo prozio (!) e mai più usata dagli anni '50 in poi.
Non immagina la gioia che mi dona il tatto di quella polvere, di quella ruggine, di quelle forme così sinuose.
Come un Barolo  che chiede meditazione e riposo, ho deciso sino ad ora di non pubblicarla, di goderla tutta per me come un 'idea bellissima o  un ricordo lontano, aspettando un'ispirazione che ha tardato...4 anni a venire!
Non sapevo nemmeno se ripulirla, come altre sorelle.
Ma avendola lucidata qui e là per verificare lo stato dell'arte, ho deciso per il solito restauro conservativo , desiderando fortemente di riportarla in istrada.
La striscia rossa delle gomme in para ha lasciato il posto sui cerchi strettissimi da 28 mm a due copertoni NOS da 1/4, affidabili e stridenti col nero del telaio.

Telaio che, giova ricordarlo, fu sicuramente rinnovato da qualche ciclista benvolenteroso negli anni 40 con tanto di filettature dorate.
Il verde originario è rimasto solamente..su un galletto della ruota anteriore , a perenne memoria del tempo corsaiolo che fu.

Per una volta nessun manubriaccio, ,ma la sua piega originaria larga ed imponente.
Ho lasciato volutamente alto l'attacco, come l'ho ritrovata.


Il prozio doveva essere alto di gamba !
I freni sono fascettati, l'anteriore un poco più recente e sicuramente sostituito in corso d'opera negli anni di intenso uso.

Il posteriore è originale!
Mozzi 32 40 raggi originali Wolsit , il posteriore Giroruota, con corona Wola e pignone fisso.

La guarnitura è composta da calotte Wolsit datate 1923 e da una bellissima coppia di pedivelle da corsa Wola , con un attacco della corona direttamente fissato sulla pedivella ci ricorda le finezze costruttive votate a robustezza e durata.

La sella , Una Italia in pelle, l'ho dovuta aggiungere io in quanto della vecchia Brooks restava solo il telaio e pochi monconi di cuoio ( i ghiri in montagna divorano tutto!)
Nessun parafango, nessun carter!

Rivedendola al chiaro, in una luce invernale che si sa far desiderare , la ammiro compiaciuto ed estasiato.
Come una bella donna, di quelle che devi avere per forza, essa m'attrae a viva voce e d'un lampo la cavalco, verso una salita che non supererò.
Lei, di certo, lo sa, ma dal largo del suo manubrio mi invita a fare le uniche cose possibili su una Wolsit da corsa: pedalare  e sudare!



mercoledì 25 novembre 2015

Sensuale ed armoniosa: ORIX Prina La Savoiarda 1940.

Sfogliando il bel catalogo del 1939, in ultima pagina si possono apprezzare le carrellate di commenti che giornali sportivi o grandi cronisti hanno postato sulla marca Prina.
Lodando sempre il geniale e tenace Antonio che col fratello segue le sorti dell'azienda, si possono leggere positivi commenti sull'ultima geniale creazione del tecnico astigiano, la Orix Prina, la Savoiarda.
"Finalmente una bici che farà fare un figurone  a me o alla mia bella"
Insomma una bici unisex antesignana.



Inforcandola, in effetti, si ha poco l'impressione di cavalcare una bici da donna, e poco ci manca perché la canna , abbassata di poco, si trasformi idealmente in una bici mascolina.
Il tempo ha inferto i suoi segni sulle canne ultraleggere di questa bellissima macchina, ma ancora si può ammirare l'elegante intreccio di tubi Columbus cromati.
( la Prina si riforniva di questi pregiati tubi per le sole Savoiarda e le bici da corsa, ciò che le rende preziose e leggerissime).


L'intreccio di tubi al retrotreno personalmente mi trova entusiasta e mai mi stanco di osservarlo: personale, elegante, vistoso, differente da quello della maggior parte delle bici Rondinella del periodo.
Molti i particolari in duralluminio, a partire dal bel manubrio a leve rovesciate Ambrosio , i pedali e gli elegantissimi parafanghi con ventaglini finali di grande efficacia.
Una parte gustosa di questo mezzo sono i freni, a tamburo laterale tipo motociclistico, che sicuramente nel 1939 erano quanto di più avveniristico potesse esserci!



La frenata è morbida, sicura e ben modulabile.
Stupisce la presenza di cerchioni in ferro, ma pur esendo tentato di sostituirli con altri in duralluminio come da catalogo, me ne sono ben guardato, giudicando questi quasi sicuramente quelli di primo equipaggiamento.
Anche il cambio, un simplex 3v con leva primo tipo in ottone, era un non plus ultra per il tempo, quando i corridori viaggiavano ancora con lo scomodo Vittoria: pratico e preciso, dona una nota di sportività in più al mezzo.



Infine una nota sulla fanaleria, composta da fanale Radsonne con occhi laterali e dinamo Lux : perfettamente funzionanti, illuminano il buio con discrezione e carattere, esattamente le stesse caratteristiche decise da Antonio Prina per questa bicicletta , immutate ancor oggi.


E se alla discrezione si vorrà contrapporre il bel fascino delle donnine che Antonio amava molto mettere sui depliants ( e non solo qui, ma il pudore blocchi la mia voce e la mia mano...), ecco venirci in soccorso il supporto della gemma posteriore ( fortunatamente ritrovato e salvato, risaldato a stagno su un supporto ad hoc): una sirena armoniosa, eterea, sensuale, degnissima compare e mascotte di questa amazzonica cavalcatura.













mercoledì 11 novembre 2015

Nobile popolare, Taurus 18 1937

Qui in Piemonte le Taurus han sempre girato poco.
Un po'per la mancanza di concessionari.
Un po' per la rudezza che ci contraddistingue ( un piemontese me lo vedo bene in sella a una Gerbi, meno su di una una Taurus...).
Per questo forse , tra i collezionisti locali, le Taurus, pur essendo sicuramente rispettate, godono di minor considerazione.

Sia come sia in collezione me ne son capitate alcune, per caso o per volontà.
Una di queste è il modello 18 che presento ora.
Il modello 18 era il modello di base della casa milanese, con chiavelle alla guarnitura anziché l'elegante sistema a campana e frenata posteriore esterna.

Il telaio però intriga davvero rispetto ad una produzione più normalizzata, come quella della Bianchi.
I tubi sono schiacciati e rastremati al carro posteriore e...udite ! udite!, nessun dado stringisella ma un expander nel canotto sella.

Massima eleganza per fare risaltare anche il fine telaio a giunzioni invisibili!

Il carter, croce e delizia di ogni taurista, era per una volta completo ed in buono stato, con acnora alloggiata sulla parte alta la farfalla che funge da sportellino per introdurre l'olio per  lubrificare la catena.

Il colore verde oliva, che ha resistito ad anni e anni di abbandono, figura ancora ben elegante quasi 80 anni dopo tra una chiazza e l'altra di sana ruggine.
I pedali sono ancora gli originali, marcati taurus.

Dapprima volevo cimentarmi con cerchioni in legno, ma nonostante la grave ruggine, all'interno ho trovato tracce di colore verde e mi è spiaciuto disperdere quella nobile ferraglia che da così tanto si accompagna assieme!

Ecco che allora i cerchioni da 26 1/2 ( non ballon per una volta) girano ancora allegri con alcuni raggi nuovi addosso!
Completano il tutto una bella sella LUPA anni 30 e un impianto luce anni 30 con dinamo Elios e faro Dansi a vetro giallo, cooredato dall'immancabile gemma in vetro pallinato al posteriore.

C'è da dire che la bici fila bene e leggera , quasi da sportiva, anche le salite con un po' di fiato si affrontano serene.
Non ci ho lasciato comunque il cuore e nonostante un restauro appassionato, da buon piemontese le preferirò le meno famose marche locali.

Per una volta....ubi minor, major cessat!







lunedì 26 ottobre 2015

Ritorno al futuro



"Grande Giove!"




Tutti noi appassionati del passato abbiamo sicuramente presente la saga di " Ritorno al futuro", in questi giorni attuale più che mai.
Una delle scene che sempre mi emozionano è quella riferita al ritrovamento nella miniera abbandonata della vecchia DeLorean ( la macchina del tempo), occultata da Doc nel 1885 perché il giovane Martin la ritrovasse nel 1955.
70 anni dopo.
Il momento nel quale Martin sfonda il muro e la torcia illumina l'auto mi ha sempre messo un brivido.
Tutto questo preambolo per rendervi edotti delle emozioni che ho provato nel reperire questa bicicletta, ex corsaiola anni 20, ed ascoltare la sua storia.


A tutta prima, anche per via dell'esosa richiesta economica, non avevo preso troppo in considerazione l'idea di adottarla.
Un parafango e una pedivella spaiati.
Nessuna marca rilevante.
"Era su di una soffitta praticamente blindata dal 1950.E questa era dietro a tutto."

La casa era un palazzo padronale della vecchia Cuneo, sgomberata dopo che l'ultimo proprietario era deceduto ed i figli avevano deciso di ripulire dopo decenni di oblio.
Famiglia benestante, di certo.
L'origine corsaiola di questa simpatica reliquia è tradita inequivocabilmente dai cerchi in legno per tubolare montati su mozzi enormi, posteriore giroruota.

Come la moda del tempo imponeva, il manubrio da corsa ha lasciato il posto ad un più civile corna di bue con le leve che sparano all'insù.
Di certo doveva essere un lusso non da poco poter circolare su una bici da passeggio con cerchi legno e tubolari da corsa!
Antesignana delle modernissime city bike!

In moltissime foto di quegli anni ho visto questa modifica e francamente poco la condivido, a livello pratico.
I cerchi sono frenati da ganasce fascettate : all'anteriore troviamo un modello francese degli anni 10 -20 mentre le terga sono frenate da un italianissimo Universal anni 30 pieni.

Anche questo fatto è curioso, siccome ho più di una bici con i medesimi freni spaiati!
Le manopole sono in cartone pressato Silca, mentre la sella da corsa ha lasciato il posto ad una più pacifica e molleggiata Turismo marca Leon: fa tenerezza lo spago arrotolato anti ribaltamento che ancora oggi, dopo oltre 70 anni, ferma sicuro la mollona anteriore!

Sul canotto troviamo l'immancabile bollo:  questo porta la data del 1938 e non mi stupirei se fosse davvero l'ultimo anno nel quale venne usata la bici!
I parafanghi sono anche essi spaiati: posteriormente troviamo un bello schiena d'asino sicuramente coerente con la bici, corredato di bella gemma in vetro a melograno.

Quello anteriore proviene da qualche balloncina anni 30 e ignoro il motivo per il quale venne sostituito in quanto il telaio è sano come un bambino appena nato!


Che dire?


Mai come in questa acquisizione è prevalso il cuore ed il sogno sulla fredda ragione , che di certo avrebbe glissato vista la non certa paternità e i pezzi sostituiti.
Ma la mia idea di conservazione del patrimonio ciclistico, la mia fissazione di tramandare qualcosa alle generazioni future di intonso ed inviolato, hanno avuto la meglio.
E ogni volta che mi verrà un dubbio, ne son certo, andrò ad ammirarla dove l'ho riposta gelosamente in collezione, e di certo nella mia mente balenerà l'espressione tanto cara a Doc:


"Grande Giove!"



mercoledì 14 ottobre 2015

Per giovinetti

Le bici da bambino suscitano sempre simpatia.
Specialmente quelle molto datate.
Forse per un richiamo alla nostra infanzia, oppure a quella che immaginiamo sia stata per i nostri padri e nonni.
Oggi i bambini hanno tutto, troppo.
Una volta avevano poco, troppo poco.
Questo non vuol dire non si divertissero lo stesso, anzi!

Ma per i pochi che potevano avere il qualcosa, questo qualcosa spesso era una bicicletta.
In tempi che nemmeno un padre di famiglia, onestuomo lavoratore, spesso non poteva permettersi il lusso della bicicletta, vedere ragazzotti di 10 12 anni con la lor fiammante 24 doveva essere quanto mai un identificatore dello status sociale.

Più che all'indubbia felicità ed orgoglio che avrà provato il giovin ciclista su questa simil-Wolsit anni 20, immagino lo sguardo invidioso e livido di sana gelosia che la maggior parte del popolino fanciullesco avrà provato nel vederlo scendere in istrada magari accompagnato dal padre su nobilissima cavalcatura.

Questa bicicletta non è la classica bici da bambino, costruita con materiali e cure più scadenti, visto che andrà a finire in mani inesperte e malcuranti.
No.
Presenta le stesse pregevoli e accurate finiture delle sorelle maggiori: mozzi con ingrassatori, manubrio roller con frenate fascettate , parafanghi a schiena d'asino,campanello e gemma in vetro a melograno.

Oliatore sul movimento centrale e pedali a 4 gomme.

Su una pedivella si legge a malapena lo stinto marchio, che presenta due nomi: se riuscirò a decifrarlo lo pubblicherò.
Ma mai come in questo caso poco conta Marchio o blasone: conta il simbolo di un'epoca ormai passata, le reliquie di un tempo in cui c'era ancora l"'Io posso e Tu no" anche a questa età.
Abisso sostituito con poca fortuna dalle moderne diavolerie elettroniche che hanno appianato i ceti fanciulleschi, sia pure tristemente al ribasso per quanto riguarda fantasia e creatività.