venerdì 23 dicembre 2016

There 's a Bike!

Amo le montagne sopra Ceva.
Sono quelle delle mie origini più lontane, valli sconosciute ai più dove ancora molte persone coltivano la castagna e la patata sulla terra scarsa , sfidando neve e gelo e pendenza.
Posti difficili, dove ogni oggetto è sacro e va mantenuto efficiente perché scendere a valle per qualsiasi motivo è di per sé un lavoro. ( la montagna è una forma di disciplina).
Per questo ogni volta che un valligiano mi chiama , con la parlata strettissima che tanto amo, mi si illumina il cuore.
“Una bici a bacchetta, col bollo del ‘8. Ferma da quanto? Ah non saprei, di sicuro io l’ho sempre vista là…Se la vuoi..vieni!”

E si rifà sempre con piacere il tragitto disseminato di curve e sassi e qualcosa di neve che mi porterà alla Colla, per discendere sino alle Serre .
Posto paradisiaco, incantato: Tolkien avrebbe potuto benissimo ambientarci  un piccolo romanzo.
Le case sono ordinatissime, nemmeno un mozzicone è a terra ed i valligiani ti studiano con occhio attento e diffidente.
Solo due parole di dialetto e una stretta di mano allentano gli animi ed esplodono un sorriso  che ti riconosce amico.
Dal cortile piccolo e pittoresco , lo sguardo sale al lobbiato in legno ed alle pannocchie del piccolo mais montagnino: saranno date ai polli, qui nulla si spreca e tutto fa risparmio.
Salendo per la scala in pietra dagli scalini mastodontici, indovino l’età della bicicletta che tra poco ammirerò.
Eccola.



L’hanno appena tirata giù dai chiodi in legno infissi nelle pietre: è sporca, arrugginita, molto fiera.
Nel portagiornale una zucca incartapecorita che fungeva da fiasco è ancora incastrata , immobile.
Sono  al settimo cielo: questi sono i dettagli che mi fanno sognare.

“Era del nonno. Penso che non l’abbia più usata dalla guerra. Ci andava in pianura , con quella: 60 andare 60 tornare.. altri tempi…”
Solite frasi di circostanza, l’ennesimo amore che ti fa affrontare gli scalini con gusto , le dita che stringono solide il ferro che si è fatto bici.
La nonna la guarda ancora una volta con tristezza e nostalgia, il nonno non è più qui da molto tempo.
Si raccomanda che venga trattata bene , che torni a correre.

Rassicurata con qualche battuta di buon dialetto, carico la conservatissima bici sul portapacchi, assicurandomi che la zucca non si sfasci.

Ci vorrà del tempo prima che riceva le cure promesse:  appoggiata al muro, nella nuova officina, me la godo ora per ora sognando il tempo trascorso.
Le sue ragnatele, la sua ruggine, i suoi dettagli, parlando ben più di un libro di storia e vanno diretti al cuore di appassionato.
Ci sarà tempo per operare, ci sarà tempo per sognare.

Ciclo There, Torino.
Cerchi 28 5/8
Mozzi e guarnitura There
Gemma in vetro
Sella There
Manopole in corno d’osso di bue
Pedali a 4 gomme originali
Ultimo bollo pagato: 1938.




lunedì 24 ottobre 2016

100 anni di corsa!


Ci sono oggetti che vi parlano , non appena li guardate.

Se sapete ascoltarli, vi raccontano storie incredibili, basta aprire il cuore e la mente.

Questa bici mi ha fatto innamorare appena l’ho vista.

Rugginosa, fiera, aggressiva.

Come abbandonata in un angolo oltre 80 anni fa, per caso, attendeva qualcuno, qualcosa.

Nessun marchio, nemmeno sui mozzi.

Solo quelle strisce gialle a ricordare l’antica fierezza e un guizzo che in corsa può far a differenza.

La forcella anteriore ha ancora gli steli chiusi, sintomo di un possibile freno a tampone anteriore.

Siamo negli anni 10 del 1900, i freni Bowden sono una novità, ed ecco che all’anteriore ne troviamo uno della più classica scuola francese, abbinato alla sua leva originale.

Al posteriore un italianissimo Universal con leva annessa ci ricorda una sostituzione in corso d’opera, le bici devono funzionare bene prima di tutto!

Manubrio in ferro, con superstiti cordami probabilmente ricavati da un vecchio copertone per ingentilire la presa del morsetto dei freni.

Anche sull’unico parafango superstite, il posteriore, compaiono qui e là strisce gialle: chissà che bolide da nuova!

Sui cerchi in ferro tipo R ho montato due vetuste coperture da corsa, Una Michelin da 3/8 al posteriore e una Pirelli Stella all’anteriore: ai limiti della guidabilità, ma…di grande effetto scenico!

Anche qui si intuisce la tendenza al risparmio: un cerchione, probabilmente quello anteriore , aveva  beccato una bella botta.

Oggi si butterebbe bici e tutto.

Invece no, ai tempi si smontò, si cambiò cerchione mantenendo il mozzo originale.

E se fu allora che il parafango passò a miglior vita, pace!Si va anche senza!

La sella Trionfo è stata ingrassata a dovere, mentre per scorta si è provveduto ad installare sotto di essa una camera d’aria in para marrone marca Spiga.

Le valvole delle camere d’aria sono state riutilizzate mantenendo quindi quelle originali anni 10-20: tengono ancora benissimo!

Sono consapevole che un restauro completo le avrebbe donato sine dubio una maggior funzionalità, ma…me ne sono innamorato cosi e così la vedrò bene ogni volta in collezione, in un angolo dedicato solo a lei.

martedì 13 settembre 2016

Viola la notte




La notte,qui
è un silenzio che dura
un nero inviolato.

Non le consolanti
luci e suoni
della città sempreviva

Ma un'eterna quiete
che spaura il foresto.

Nel nulla che inquieta
esplodono improvvisi
lo stridio d'un rapace
la caduta d'un ramo.

Sussulta la donna
mentre, trepidante
tenta l'ascolto
della profonda e muta oscurità.

Vorrebbe un abbraccio
una stretta che dice,
una mano amica.

Dal buio
sorge una luce, solitaria.
Le tenebre, ormai vinte,
festeggiano la loro vittoria.

-26-08-2016 a Viola.

martedì 26 luglio 2016

ORIX PRINA LA NIZZARDA :du stecche is megl che uan!

I recenti fatti di cronaca non fanno un bel parlare di una bici che si chiama Nizzarda.
Eppure quelle due stecche magari sarebbero servite a dare una bella legnata al cretino di turno,chissà.

Rigide e scorrevoli, sono ancora lì dove papà Prina le mise per sopportare le dure salite del monferrato o delle colline che avrebbe affrontato.

Leggera, snella, monta guarnitura marcata NIZZARDA e patacchino ORIX Prina.

Mozzi Campagnolo e pedali Agrati a centro intero per pedalare in sicurezza in ogni situazione.e Immancabile la gemma di sicurezza sopra al freno!

freni Universal 36166 e manubrio Ambrosio Champion Prima serie a piega larga , tipo anni 40.

Parafanghino anteriore per proteggere da schizzi di una pioggia che ormai è solo ricordo.

Cerchi NISI a bordo zigrinato.
Forcella anteriore svasatissima con rinforzi interni.
Nonostante la discreta conservazione qualche simpatico ebbe la brillante idea di sabbiarla e riverniciarla in questo azzurrino...qualcuno griderà all'orrore ma anche questo è amore : probabilmente senza questa accortezza le due stecche sarebbero ora un paracarro per pomodori ed il telaio...il cancello dell'orto!

mercoledì 29 giugno 2016

Agli albori: Pietro Mo, Bra 1925

Come ricordavo ieri a un caro amico di bici, la collezione perché sia bella, non deve essere fatta di bici di pregio e di gran lusso.
Deve avere un senso.
Il senso filologico si costruisce negli anni e affinando ciò che le sensazioni ed i desideri suggeriscono, donando forma e sostanza all'accumulo di ruggine e copertoni.
Una delle mie prerogative personalissime è sempre stata quella di ricostruire la storia del ciclismo braidese.

Quando ritrovai questa ex corsa abbandonata da tutti sin da prima della guerra in un rudere in collina, poco mi disse se non la somiglianza del telaio con quella di una Bianchi M del periodo.

Bei freni fascettati, mozzo giroruota, freni all'insù come si costumava negli anni 30.

Il campanello però mi esaltò: Cicli Pietro Mo, Bra.

Avevo scoperto un altro ciclista di Bra!
L'emozione era alle stelle.
Solita ricerca e domande tra gli anziani braidesi, finchè un caro amico di 99 anni, arzillissimo, si ricorda che " quando ero giovane c'era, non ricordo dove.Chiuse che io avevo 16-17 anni...altro non so.."
Insomma, questa fu l'opera di un ciclista che non opera più da almeno 80 anni!
Ultimo bollo pagato: 1938!

Il telaio vide giorni migliori e fu risaldato dopo una bella botta: in effetti ho delle bici che scorrono più diritte ma tanto è...
Sotto la coltre di sporco , morchia e grasso scorgo ancora un bel celestino: davvero difficile sarà stato ai tempi distinguere questo telaio da una ben più cara Bianchi M...

i parafanghi, pur essendo assieme da molti anni, non sono identici: stretto, da corsa quello posteriore, un goccio più largo quello anteriore, ma entrambi con la loro stinta vernicetta azzurrina sottostante...
Probabilmente questo Mo era un assemblatore ciclista che operò pochi anni, e che vendeva alla giornata bici di varia foggia.
Mozzi ANTAR posteriore giroruota!

Oltre al campanello, Mo firmò il portafanale: a distanza di così tanti anni, sarà orgoglioso vedere quella iniziale ancora svettante e imperiosa fendere l'aria  di Bra alla corsa della sua creatura.

Aria, duole dirlo, ben più inquinata e schifosa di quella dei bei tempi andati della Bra Regina di cuoi...

venerdì 27 maggio 2016

Estiva






Buio.
Una luce danza giocosa
oltre i pini immoti.


Un vento che so
congeda primavere
e dice luce e soffochi.


Ritorna qualcosa:





un odore gentile, premuroso


un saluto, un abbraccio amico


un sorriso all'uomo


Che sogna Estate.




( pour un bonne ètè, joyeux et notre).

mercoledì 18 maggio 2016

Maino sport 1944: abbassati e pedala!

Quando ritrovai su un fienile questa bici, non aveva molto di bello da mostrare, se non un inusuale telaio a canna parallela molto leggero.
Nessun doppio diapason al posteriore ma esili e sottili tubi diritti stile bici da corsa.
Allora non sapevo datare bene le mie bici, e l'avevo scambiata per una Maino degli anni 50 60.
Il proprietario assieme alla bici mi disse che la bici, comperata dalla madre in tempo di guerra, era diversa: col tempo aveva subito l'asportazione di " un manubrio basso, con le leve strane, scomodo da matti..." e delle ruote " erano sportive, in alluminio dietro aveva la corona doppia....".

Basta.
Non do molto peso a queste parole e do una pulita sommaria alla bici, relegandola in un angolo del soppalco.
Col tempo arrivano un paio di cerchi Vianzone in alluminio raggiati su mozzi SIAMT giroruota in ferro.

E un manubrio a bacchetta molto sportivo, cadmiato,come quelli montati sulle Amerio del dopoguerra.

Spolverata la bici, scopro il numero di serie 144803, che corrisponde benissimo a un 1944.

Insomma, dopo due sere quasi insonni, la bella Maino torna a ruggire!
E scopro particolari non da poco: pedivelle super alleggerite come sulle corsaiole, con pedali a centro intero a perno forato.

Il perno del movimento centrale, montato su ghiere Magistroni, è anche esso forato: tutto deve essere leggerissimo!
Carter Pratic in alluminio!
Alle ruote non dadi, ma pratici galletti in ottone!

Guidare questa Maino è un'esperienza unica: bassa, slanciata, leggera, divora la strada e ad ogni metro sembra ripeterti una sola cosa: abbassati e.....Pedala!

venerdì 13 maggio 2016

Un bel marrone


..."e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno
come le rose "
la canzone di Marinella, F.De Andrè.

Un bel marrone

 

La strada costeggiava il canale, dritta ed impertinente.

Monsù Dorta arrancava pedalando la vecchia bici Prina acquistata in tempo di guerra da un ciclista di Torino poi morto ammazzato.

Ai tempi non era che un impiegatuccio in carriera, ma avendo il gusto del bello e del raro si decise per quella bicicletta dal colore sgargiante oro con filettini rossi e fiamme bleu.

Si era in pieno tempo di guerra, tutti pensavano a salvare la pelle e guardavano poco a certi dettagli, ma essendo lui impiegato presso la fabbrica della corrente elettrica ed essendo essa fabbrica fondamentale  posta sotto il controllo tedesco, non ebbe guai.

Sapeva vivere e sapeva comportarsi:  non mancò mai di omaggiare le mogli dei graduati con qualche bottiglia nascosta al paesello e di imparare le regole fondamentali della grammatica tedesca.

Basta: per lui la guerra non fu altro che un lungo periodo di prova che diede i suoi frutti, portandolo ad essere promosso capo stazione della centrale di Verduno.

Nel frattempo le cose con la giovane  fidanzata Gina si erano messe per il meglio e coi soldi risparmiati avevano finalmente potuto sposarsi con piccolo viaggio di nozze a Sanremo.

Soldi per la casa, non ne sarebbero serviti: essendo lui capostazione aveva diritto all’alloggio insito alla centrale , ammobiliato e confortevole, più un guardiano tuttofare che viveva nel capanno al fondo.

Lasciare Torino per quel posto di canne e rane, non fu facile per nessuno, meno che meno per Gina, abituata alle strade di Torino ed ai lussi della città, pur bombardata.

Certo, lo stipendio è buono, ma che vita faremo qui?”

“C’è aria buona e salubre, staremo meglio vedrai.”

In realtà a quelle parole non credeva nemmeno lui , l’aria era pesante e d’estate le zanzare non davano tregua.

Per un poco andò avanti ed indietro al paese con la fidata Prina, tenuta lustra come un bimbo dal guardiano Tulu.

Tulu si che stava come il papa.

Oltre al buono e sicuro stipendio, all’alloggio gratuito, si procurava un bell’extra con la vendita del pesce .

Funzionava così: una volta la settimana si doveva pulire la grata che bloccava i tronchi e le impurità che passando nelle turbine avrebbero compromesso il macchinario.

Per questo si doveva svuotare la vasca e, con malizia e arte, si riusciva sempre a rimediare qualche decina di chili di pesce.

Le osterie del posto volevano tutti bene a Tulu e quando lo vedevano arrancare con la sgangheratissima bici a scatto fisso anteguerra, sorridevano.

Per anni l’osteria Maiolino di Roreto servì i “barbi della Centrale”.

Dorta lasciava fare: contento lui, pensava, contenti tutti.

Tulu , che fesso non era, capiva e ogni anguilla finita per caso nelle maglie della sua rete si trasformava in uno splendido carpione che la signora Gina sapeva cucinare  par suo.

Dopo 3 anni di sudate e di pedalate si decise: i soldi c’erano, andavano spesi!

Il viale alberato antistante un bel mattino accolse il rombo secco e preciso del 500 Guzzi con sidecar che Torta sognava da tempo.

La moglie sgranò tanto d’occhi e nemmeno una parola , ma solo una lacrima e l’emozione del primo giro sotto il sorriso sdentato di Tulu che faceva segno di si’ con la testa.

Fu con lei che l’estate successiva partirono per la Francia e Madama Gina, giunti sul colle di Tenda, si alzò per gridare agli astanti “ Viva la Guzzi”.

Le cose si mettevano bene.

Erano cominciati gli anni 50 e già qualcosa di benessere, ma solo qualcosa e per pochi.

A Gina cominciava  a stare stretta la vita isolata in campagna e i pomeriggi di nera solitudine quando il marito era impegnato nelle ispezioni dei canali.

Andiamocene. Chiedi il trasferimento.”

“Ma come si fa? E poi la paga è ottima.”

“Non c’è solo quella. Qui non si vive più.”

Dorta andò quindi dal gran capo a Cuneo, vestito col doppiopetto del matrimonio e il profumo all’acqua di colonia.

Parcheggiata la moto nel cortile antistante, salì le scale confortato dallo sguardo del portiere che certo lo aveva scambiato per qualche pezzo grosso.

Dorta aveva passato i 40 anni ma era bell’uomo ed alto, si faceva conoscere e rispettare.

L’ingegnere lo accolse benevolmente e da subito presero a discutere dell’andamento.

Va tutto bene, ma mia moglie , sa….”

“Non si trovano bene nella casa che noi vi offriamo? Benissimo. Potete cercarne una adatta al vostro comodo. Nessuno vi impone di restare colà.”

Insomma, tanto disse che alla fine Torta tornava più disperato di prima.

Andarsene gli spiaceva.

Una bella palazzina così, col guardiano-servitore, quando mai gli sarebbe ricapitata?

Con i soldi dello stipendio che accumulati rendevano una bella somma ogni mese, così che le vacanze estive erano automaticamente pagate.

Insomma, per qualche anno si restava lì.

Gina faticò a digerire la notizia , ma si arrese di fronte alle buone ragioni del marito.

Intanto la famiglia si stava allargando: Gina lo scoprì in Marzo e a quella notizia il marito trasalì.

Non si aspettava di diventare padre, ma la cosa lo riempì di gioia.

Pur con mille pensieri per la testa,  Gina cercò di zittirsi e di compiacere il marito che, a quanto pare, restando buono sarebbe diventato un gran capo anch’egli e avrebbe di certo ottenuto l’ufficio a Cuneo.

Passò l’estate e giunse l’inverno , rigido e freddo.

La piccola Gemma nacque in casa assistita dalla levatrice che, pur con la stufa accesa ed i riscaldamenti al massimo, faticava a scaldare la stanza.

Con questo freddo , stare vicino al canal e non le farà bene. Poi fate voi.”

“ E se la portassimo a Torino? Per un po? Dai miei…”

Non se ne parla. Siamo una famiglia e qui staremo.”

Dorta era perentorio.

Andò bene.

Basta, Gemma crebbe sana e forte e a 3 anni sapeva già parlare correttamente  e muoversi per la casa .

Anche troppo.

Ora Giuseppe Dorta sedeva a fianco della bici su un ceppo e lanciava un mazzo di fiori nel canale.

La moglie era rimasta a Torino.

Dopo l’esaurimento non era quasi più uscita di casa e nemmeno al cinema o per un viaggio si schiodava dal divano.

Troppe cose c’erano da digerire e nessuno, nemmeno più lui, forte come un toro, ce l’avrebbe fatta a purgarsi da un ricordo tanto brutto.

Aveva tutto davanti agli occhi e tutto sarebbe rimasto tale per sempre.

Insomma, un bel mattino di Aprile  si era alzato senza svegliare nessuno ed era partito per il consueto giro per i canali, più per formalità che per altro.

Occorreva compilare settimanalmente dei registri e segnalare eventuali irregolarità.

Quel mattino era bel tempo di primavera , così si avviò in bicicletta lungo la strada sterrata : nessuno si sarebbe svegliato al suono della Guzzi.

Mentre Gina dormiva della grossa, Gemma era ben sveglia  , ed avvedutasi della partenza del padre, decise di seguirlo come spesso faceva nei suoi giri.

Uscita sul balcone lo vide lontano e senza disperare scese le scale e prese a correre sul terrapieno.

Fu la questione di un momento.

Nessuno vide cosa accadde, ma ella fu in un lampo rapita dalle acque .

Gina si accorse della mancanza di Gemma solo un’ora più tardi, quando tutto era irreparabile.

Quando Dorta tornò dal giro verso il mezzogiorno, la Centrale era circondata da carabinieri ed un’ambulanza che mesta rimaneva inutilizzata accanto al portico all’ombra.

Dapprima volle pensare ad un forestiero, a Tulu, infine alla moglie ma quando tutti vedendolo sbiancarono e gli fecero luogo, si rese conto dell’immane sciagura.

Un giornalista, venuto da Bra con la vespa, gli sparò un flash in faccia mentre tutti lo fulminavano come a dirgli lascia stare.

La moglie piangeva sconsolata in preda al delirio mentre un medico cercava inutilmente di darle animo.

Dov’è Gemma?”

Tulu lo prese per il braccio e lo portò in garage.

Su un tavolo al centro giaceva la spoglia immobile di Gemma, coperta da un telo bianco.

Pareva davvero dormisse e non fosse per le labbra tumefatte e bluastre, pareva persino ridesse.

Dopo un momento Tulu spiegò a Torta l’isteria della moglie, i carabinieri che arrivavano e lui che lesto si apprestava a svuotare le vasche.

Una grata l’aveva trattenuta , quella più bassa a 6 metri.

Se no chissà dove sarebbe ora…”

Ma Dorta non sentiva più nulla, piangeva e bestemmiava.

Fino a sera non ricevette nessuno e anche i carabinieri furono comprensivi, rimandando le domande al giorno appresso.

Quando tutti se ne furono andati, restarono il prete e Gosio delle pompe funebri.

Capendo che non poteva esimersi si accordò col prete per la funzione mentre di Gosio ricordava solo le parole mielose e affettate “ Gliela faremo bella, vedrà, un bel marrone chiaro…”

Gli anni erano passati e molte cose erano mutate.

Da Cuneo furono  cortesi e discreti e non ci fu bisogno di molto perché venisse assegnato ad un ufficio a Torino di grande responsabilità .

Il primo anno era tornato, trovando tutto in ordine ma desolatamente vuoto.

Nessuno aveva accettato il posto, creando una superstizione sciocca che sarebbe durata degli anni.

Solo Tulu rimaneva a guardia delle grate mentre un addetto scendeva settimanalmente dalla città a gettare un occhio.

Quel mattino , vestito di tutto punto, era sceso dalla 1100 col suo mazzo di rose bianche e si era diretto al garage.

Trovatolo aperto, riconobbe la vecchia Prina , pur arrugginita.

Una gonfiata alle gomme e di nuovo, come tanti anni fa , lungo il canale.

Era scomparsa l’allegria, la voglia di vivere e di affrontare il domani.

Il sole splendeva inutile e fastidioso.

Piovesse, pensava.

I giorni, tutti uguali e pesanti come macigni, si succedevano inesorabili come condanne.

Gettando le rose , avrebbe voluto gettare anche altro, molto, tutto.

Ma un guizzo, antico come il nascere dei giorni e della vita, glielo impediva.

Forse un domani qualcosa sarebbe mutato, forse una luce nuova avrebbe spento quella fiamma che ancora ardeva e tanto bruciava.

Forse un giorno, vicino o lontano, la vita sarebbe diventata quel che dicono i poeti, o gli innamorati: bella.

Ma sotto quel sole, davanti a quelle acque torbide, difficile sarebbe stato il crederci.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

giovedì 28 aprile 2016

La bacchettata 2016 ULTIMI DETTAGLI

L'8 maggio è alle porte, il meteo pare dalla nostra parte e le bacchette fremono dalla voglia di essere usate!


Qualche dettaglio per i partecipanti a questa decima  bacchettata che, lo ricordo, si terrà per una volta in terra di Langa sul percorso ciclabile sterrato del parco Tanaro.


-il ritrovo è fissato alle ore 9,00 nel piazzale del ristorante La cascata di Verduno.


-la partenza è fissata alle ore 9.30 , si raccomanda la massima puntualità perché il giro pur non essendo impegnativo richiederà, tra pause e giro in  Alba, almeno 3 ore buone: meglio arrivare per tempo a pranzo!


-a metà percorso è prevista la solita pausa letteraria ed enogastronomica, con mio racconto inedito!




-il pranzo si farà a casa mia coi prodotti che ognuno di voi porterà come contributo della propria terra: gradite torte salate, pasta, formaggi, vini.....




PER OGNI DUBBIO SCRIVETEMI ALLA MAIL a.galeasso@libero.it

venerdì 8 aprile 2016

La rama che frusta




Vorrei essere
lì con te
nella quiete che respiri.


Ma  qui devo restare
a farmi frustare dalla rama
che inesorabile colpisce.


E tanto farà,
che presto sarò con te
nella pace




Che qui non c'è.

sabato 12 marzo 2016

Auro ballon, comoda poltroncina!

Reduce in questi giorni da uno stupido incidente col sidecar,  mi trovo a dover trascorrere qualche settimana con le mani pulite che non possono assaggiar grasso e uncio.
Per fortuna, quasi una premonizione, nei giorni passati il lavoro fu alacre e fruttuoso e per una volta mi trovo solo ad ammirar il frutto di cotante fatiche.

Prima fra tutte ammiro questa Auro, sottomarca Amerio, che dal 1935 solca le strade piemontesi con le sue tozze ruote da 3/4 infischiandosene altamente di guerre, buche e distanze.
A ben guardare in questi giorni l'unica distanza seria pare essere il tempo, che scorre lento e implacabile.
I chilometri sono poca cosa di fronte ad ottanta anni di vita , ma anche di fronte a questi servono buone scarpe e una cura veloce ai freni.

Ecco allora nuove coperture da 3/4 x 2, misura extralarge da gonfiare a bassa pressione ( si sa mai che ad ottanta suonati non ci parta ancora un embolo), mentre i pattini grattano con cautela sui fragili cerchi dove il cromo e i filetti sono solo un ricordo lontano.

Che sia un 'Amerio, al di la della marcatura Auro su mozzi pedivelle col classico telaio a freno seminterno e il portafaro, non vi son dubbi.
Come un vampiro invecchiato, il canotto porta tracce del vermiglio che la casa alessandrina profondeva a larga manica , rendendoli riconoscibili  a chilometri di distanza.
Forcella squisitamente Amerio, con attacco parafango in fusione.

Parafanghi a triplice costolatura, larghi e robusti.

Sul manubrio, una chicca: il signor Calligaris incise il suo nome, in modo che anche dopo la dipartita tutti sapessero che quella era stata qualcosa di molto suo.

E per dimostrare che costò soldi, e non pochi, utilizzò 2 lire come rondella al manubrio: mai vidi un investimento più sicuro e fruttuoso del vil danaro....
Basta.
Questa è una bici di quelle da usare davvero, sulle stradacce brutte di campagna, quelle, per intenderci. con i solchi dei trattori profondi mezzo metro e buche e sassi.

Non mi va davvero di isolarla in casa, pur bella come è.
Pur provata dagli anni e dalla tanta luce ed acqua  , vuol correre ed ancora vedere.
Benissimo.
Le sue gomme rinforzate mi faran da sobrio cuscino durante i prossimi- e spero non troppo lontani- giri primaverili, riparandomi gli acciacchi dagli accidenti che le strade offriranno...



lunedì 22 febbraio 2016

8 Maggio , X edizione della Bacchettata di Primavera





Come ogni anno la Primavera porterà sole, verde e ...voglia di pedalare.
Sembra ieri che questo raduno di folli con sgangherate bici a bacchetta percorreva le strade di campagna sotto la muta commiserazione dei passanti.
Sono passati 9 anni.
La moda della bici a bacchetta ha preso piede ed in tutta Italia si organizzano raduni simili.


Quest'anno il percorso non seguirà la classicissima pista Bra-Casa del Bosco ma..si sposterà in terra Langarola.
Nessuna collina: una pista piana , su strada bianca ciclabile, che costeggia il fiume  Tanaro e ci porterà dal ponte vecchio di Pollenzo ad Alba.
A metà percorso una pausa letteraria, con racconto inedito.
Giunti ad Alba ( dopo circa 8-9 km), si potrà fare un breve giro per la capitale langarola, fare acquisti a tema enogastronomico e poi..far ritorno sulla medesima strada.
Per il pranzo sarà gradito come ogni anno il contributo di ciascun partecipante, meglio ancora se col prodotto tipico della sua terra.
Se non saremo in troppi...si pranzerà direttamente a casa mia, in mezzo alle nostre amate bici!!!
Come sempre, esto a disposizione per ogni chiarimento ( a.galeasso@libero.it)


In caso di maltempo grave ed annunciato.....sposteremo la data!!!!



mercoledì 10 febbraio 2016

Inattesa: Prina Corsa 1934

Ormai non ho molti dubbi.
Dall'alto Antonio Prina mi sorveglia e guida le sue creature , solo alcune ma belle, presso la mia boita.
Non potrebbe essere altrimenti.
Mettiamo questa Prina.

Non la cercavo, eppure mi fu offerta, smontata e da curare un poco, persino portata a casa.
Non volevo credere fosse una Prina fino a quando il mio nasone non sfiorò l'incavo del forcellino posteriore con la P in bella vista.

Allora si che rimasi a bocca aperta e potei passare a contemplare il resto.
Come ogni parte del movimento centrale marcato Prina 34.
Le pedivelle scanellate e la grossa corona a 48 denti.

I mozzi, finissimi per i tempi, anche essi Prina e dotati di foro per oliatore.
I pedali sono i classici Sheffield anni 30, da corsa mentre il manubrio, strettissimo , è completamente in ferro e con leve saldate anziché fascettate!

Freni a mensola spaiati, come del resto spesso mi è successo su bici ancora più conservate: tutto si rompe e si rompeva!
I cerchi sono quelli da mezza corsa del tempo, in ferro tipo R , stretti da 33 mm e calzano copertoncini bianchi da 1 /4.

La sella l'ho aggiunta io: una Brooks comoda e morbida, con l'immancabile camera d'aria in para di scorta sottostante.
Il parafanghino in alluminio davanti fa quello che può: scena e tanta nostalgia!.

Infine una nota sul telaio: leggero, dal colore blu metallizzato che al tempo sarà stato un non plus ultra, con addirittura il passaggio guaina interno al tubo superiore.
Una macchina affascinante, moderna, aggressiva.

Proprio come la volle il costruttore, che mai mi stancherò di ricordare ed onorare, risponde al nome di Antonio Prina.